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L'intervista degli studenti dell'Istituto d'Arte G. Sello di Udine a Steve McCurry
L'intervista degli studenti dell'Istituto d'Arte G. Sello di Udine a Steve McCurry
Volevo chiederle cos’è per lei la fotografia e quali sono i punti di forza del linguaggio del suo lavoro.
La fotografia è per me una passione. Per me fotografia significa esplorare il mondo e la vita è viaggiare, avere la possibilità di vedere da vicino persone e paesaggi. Un'altra dimensione importante della fotografia è raccontare delle storie. Quando scatto le mie foto mi sento completamente libero, mi esprimo senza alcun indugio o esitazione.

Dal punto di vista mediatico,che importanza ha avuto il ritrovamento della ragazza afghana e cosa per lei rappresenta adesso
Questa foto è una foto di cui ogni giorno se ne parla quindi è una foto con la quale io convivo. Guardo la sua espressione, lo sappiamo tutti era una profuga, orfana, aveva una vita difficile, prima viveva in una bellissima casa, in un bel posto poi più nulla a causa della guerra, ha dovuto spostarsi in una tenda. La sua espressione contiene sfida, forza e perseveranza,, contiene dignità, anche se è povera comunque negli occhi vediamo la fiducia nonostante il dolore che sta provando.. quindi intravedo dell’ottimismo. Uno sguardo che guarda dritto avanti a sé. Almeno questo è il mio pensiero. È un espressione che mi conforta molto.

Esiste un progetto che non ha potuto realizzare e che vorrebbe fare nel futuro?
Il mio lavoro attuale è quello di un libro sull’Afghanistan, sul quale sto lavorando da circa 30 anni e che raccoglie tutte le mie opere. C’è un altro progetto ed è una cosa personale che mi impegnerà per i prossimi tre –quattro anni.

Ci sono stati dei fotografi o delle figure importanti di riferimento culturale?
Il fotografo in assoluto più importante per me è stato Henri Cartier Bresson, lo apprezzo moltissimo per il suo grande senso di umanità, il suo senso artistico, la sua capacità di esprimersi in maniera grandiosa. Inoltre anche lui era un grande viaggiatore. Ovviamente ce ne sono anche altri.

Come ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale?
Ho usato per quasi 25 anni la pellicola Kodachrome,la quale richiedeva però moltissima luce, invece la fotografia digitale ci consente di fare foto anche con pochissima luce. Con il digitale è possibile vedere immediatamente quello che si è scattato e gli errori si possono correggere subito.

Ha mai provato imbarazzo a fotografare la sofferenza?
Quello che importa è l’intenzione, lo scopo. Il giornalista , il fotografo, il cineoperatore deve raccontare delle storie, grazie ai media apprendiamo che esistono i rifugiati della Siria, dell’Afghanistan, Iraq, della povertà e delle malattie.
Quando si fotografa la sofferenza e il dolore lo scopo è quello di informare, al fine di forse migliorare il mondo, magari qualcuno si sentirà spinto a fare qualcosa per cambiare queste situazioni. Quindi sono storie da raccontare, abbiamo l’obbligo di raccontare. Non provo imbarazzo perché sento che questo è il mio dovere.

Quali sono le storie che più le piace raccontare? si definisce un artista?

Mi ritengo un fotografo, mi riesce difficile darmi delle etichette.
Per trovare una storia, qualcosa da raccomatre non occorre viaggiare il mondo,basta uscire dalla porta e guardare fuori. Le storie importanti e degne di essere raccontate sono ovunque.



Fulvio Merlak, Colori, 1984

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Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

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