Franco Fontana (Modena 1933 - )
Si avvicina alla fotografia negli anni '60, da amatore. Nel 1968 espone per la prima volta, a Modena. Nel 1976 la fotografia è divenuta l'unica attività lavorativa di Fontana. Nel 1978 pubblica la prima delle sue innumerevoli monografie, 'Skyline'. Tra i suoi volumi ricordiamo 'Paesaggo urbano' del 1980, 'Presenzassenza' del 1982, 'Fullcolor' del 1983, 'Landscape Photography' del 1990. 'Franco Fontana' del 1994.
Ha esposto in tutto il mondo, guadagnando fama internazionale per la sua intensa attività e i numerosi riconoscimenti culturali attribuitigli. Le sue immagini sono conservate in prestigiose collezioni, dal Cabinet des Estampes de la Biblioteque de Paris, al Metropolitan Museum di Tokio, all' International Museum of Photography "George Eastman House".

Elio Ciol

Elio Ciol (Casarsa, 1929)
Di lui si è detto e scritto tutto. Le tappe della sua lunga e fortunata carriera artistica, che prese le forme nel retrobottega del padre, a Casarsa, tra il 1943 e il 1945, sono documentate da più di centro libri - tra fotoliti e opere illustrate da sue immagini - da premi prestigiosi che gli sono stati attribuiti in ogni parte del mondo (quello che lo emoziona di più è il premio tributatogli dalla rivista "Popular photography" della quale era umile lettore), da articoli sulla stampa nazionale e internazionale, dalle fotografie acquisite nei "templi" come il Metropolitan Museum of Art di New York o dal Victoria & Albert Museum di Londra ( per citarne soltanto un paio), dai collezionisti, soprattutto americani, dalla sua presenza nel libro "Storia della Fotografia".
Si sa della sua partecipazione come fotografo di scena al film "Gli Ultimi" di padre Turoldo, nel 1963. E c'era anche lui, a Versuta, alla presentazione dell'Academiuta, anche se del Pasolini casarsese, al quale scattò qualche foto ad Assisi, dove s'incontrarono in occasione della presentazione del film "Il Vangelo secondo Matteo", serba ricordi del tutto privati ("giocavamo insieme, da ragazzini"). Ma nulla di tutto ciò ha scalfito la vera essenza di Elio Ciol, ancora così avaro nel concedersi e anche in questo corrispondente, come ha detto di lui Carlo Sgorlon, a quella sorta di "archetipo dell'artista friulano" che lo vede legato alla terra e alla civiltà contadina, animato da "un senso sacrale della natura e della vita". Così "friulanamente" ritroso e insieme rispettoso dei sentimenti altrui che dopo aver provato vergogna nell'invadere il dolore, aggirandosi tra le macerie del disastro del Vajont, ha caparbiamente evitato di fotografare la sofferenza segnata sul volto degli uomini. Che è viva e forte dentro di lui e riaffiora incontenibile quando meno vorrebbe: mentre parliamo della sua esperienza di fotografo testimone di missioni umanitarie, che l'ha portato dai villaggi del Ghana ai campi profughi vietnamiti in Malesia e Thailandia. Una violenta commozione lo coglie al ricordo di una Messa celebrata in Kenya nel 1974. A poco a poco gli impediscono di parlare quelle immagini di gente che all'offertorio portava le patate e pannocchie, "povere cose, per aiutare gli altri più poveri di loro". Fotografo del paesaggio allora. Ma non certo semplice descrizione dei luoghi. Il suo obiettivo cerca il rapporto dell'uomo con la terra e lo sforzo dello stesso di comprendere e accettare la natura. Insegue (e trova) la bellezza, la purezza, l'armonia per "tentare di scoprire la continuità della creazione". Il silenzio "Dove l'infinito è più presente" è uno dei lavori più rappresentativi del suo esser fotografo, un compendio iconografico formato da dieci portfolios corredati da note critiche firmate da personaggi italiani e stranieri della cultura. Come spiega nella prefazione uno dei mostri sacri della fotografia Charles Henri Favrod, sia che interpreti la sua terra, il Friuli o che si accosti alle Meterore della Grecia come all'inalienabile Yosemite National Park, "Ciol celebra con maestria l'armonia dell'arte e l'armonia del mondo".
Oltre cento fotografie rigorosamente il bianco e nero ("ha più forza espressiva e poi con il bianco e nero sono cresciuto" dice, ricordando quando ancora ragazzetto, in pantaloni corti, già si destreggiava con i liquidi per lo sviluppo nella bottega del padre, a Casarsa, prima della guerra, dove "l'infinito" di Ciol si fa presente anche nelle straordinarie immagini del suo Friuli. Colte tra il 1953 e il 1963, in un mondo dimenticato eppure così presente nella nostra coscienza. Contributi per la memoria. "Campi, alberi, fiori, luoghi che non riesco più a riconoscere". Non ci sono più quei solchi nei campi lasciati dell'aratro; sui colli di Castelnovo oggi si mostrano le villette; a San Giorgio al Tagliamento è stato alzato un argine di cemento; quelle dune naturali sulla spiaggia di Lignano pullulano di ombrelloni. "Vicino al fiume le case si costruivano con i sassi, in montagna con il legno. Oggi sono tutte molto simili. Non so dire se il Friuli è cambiato in meglio o in peggio: è comunque certo che l'uniformità contraddistingue gli aspetti esteriori e i costumi, diventando banalità. E diventa difficile cogliere immagini che offrano il senso dello spazio, dell'armonia". La sua capacità di trasmettere emozioni attraverso i paesaggi deriva dalle stesse emozioni che riceve contemplando la natura "dalla considerazione della mia nullità e ciò nonostante della mia cosciente presenza nella vastità dell'universo". Dio c'è nella sua vita. La religione "è un punto fermo di valori". E fu proprio un'esperienza spirituale oltre che artistica vissuta ad Assisi a segnarlo come uomo e come fotografo.

Cristina Savi, in Il Gazzettino, 22 gennaio 1999
Fulvio Merlak, Colori, 1984

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Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

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