Premi
Già Pasolini aveva concepito l’attività intellettuale come un impegno civile, e pertanto l’artista o l’intellettuale, con la sua opera, doveva interpretare ma allo stesso modo custodire quel paesaggio culturale che è soprattutto ambiente storico e umano: infatti tentò di rifondare la lingua friulana, rimasta l’unico cemento delle genti contadine, mentre nel 1954, in un articolo pubblicato ne Il Caffè, (Se passerete dal Friuli, Il Caffè n. 9, dicembre 1954, pag. 31) Italo Zannier già prefigurava il successivo percorso della fotografia: “…Il Friuli ha una storia vecchia, di lavoro, di sacrificio; fatta da uomini tenaci, rudi...(e)…Se vi troverete nella Bassa Friulana a Cervignano, a Villa Vicentina, e attraverserete i campi e paesi e campi, la strada viola, e scoprirete un contadino che sta affilando la falce, tutto raggomitolato; e un altro imponente, in bicicletta, la mantellina verde addosso, la falce sulla schiena, e il cappello di paglia sfumato di verderame, non potrete non pensare a Zigaina, che queste cose le ha scoperte e sono sue, ormai. E a Codroipo, Zompicchia, Varmo, i vecchi nell’aia, il grano sul carro sotto la tettoia, la lentezza del fumo della pipa e i discorsi degli uomini a sera seduti sulla pietra, fuori di casa…”.1 Fu con questo retroterra culturale che il 1 dicembre 1955, era nato il Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia e nel manifesto che ne costituì il programma, si affermò che “… Solamente col rinnovamento generale del dopoguerra, il Friuli si è inserito nella cultura italiana con una sua voce, viva e sincera, che trova la sua ragione di sviluppo nel mondo del lavoro, nella costante aspirazione di questo popolo sobrio e operoso ad una maniera di vivere migliore…”. Tuttavia sin dalla seconda parte degli anni ‘50 il boom economico aveva iniziato ad esaurire le sue potenzialità, finchè conosciuti i momenti più eclatanti si spense progressivamente facendo si che nell’ultima parte degli anni ‘60 la protesta degli studenti dagli Stati Uniti giunse in Europa e a questi si aggiunse la protesta operaia fino a che, con la bomba alla Banca dell’Agricoltura a Milano (1969) venne avviata la strategia della tensione che intendeva destabilizzare il Paese e impedire una completa crescita democratica. Per la fotografia del Friuli Venezia Giulia, gli anni ’60 hanno rappresentato il passaggio, dal punto di vista neorealista, che nel decennio precedente era stato un riferimento nazionale, verso un nuovo modo di esprimersi degli Autori che, pur assumendo l’eredità culturale del decennio precedente, come in particolare con Edoardo Nogaro e Riccardo Toffoletti, da parte loro prendevano atto anche l’ apparire dei segni di una crisi sociale ed economica evidente negli ultima parte degli anni ‘60, quando anche Ugo Mulas venne chiamato a fotografare la Zanussi e Gianni Berengo Gardin realizzò un vasto lavoro fotografico sul Friuli e la Carnia senza cadere nella provinciale retorica e poi nel 1968 documentò le condizioni degli Ospedali Psichiatrici di Gorizia e Trieste da qui poi estesa agli Ospedali Psichiatrici italiani come denuncia, con Franco Basaglia, sulle condizioni in cui erano tenuti i pazienti, mentre Elio Ciol ricercò e maturò nello stesso tempo un suo modo di vedere e di esprimersi nella costante ricerca di nuove tecniche e nuove forme di linguaggio. Furono attivi anche Carlo Dalla Mura, Arturo Paulone, Alvio e Antonietta Baldassi, i fratelli Di Leno, Sante Trus, Tullio Stravisi, Italo Michieli, Bruno Mansutti, Gianni Borghesan, Carlo Bevilacqua, Ilo Battigelli, Vincenzo Aragozzini, Mario Magajna, Ugo Borsatti, la famigha Altran, Tino da Udine, Aldo Missinato, Claudio Ernè, e le agenzie Giornalfoto, Italfoto.
Sante Trus
Fulvio Merlak, Colori, 1984

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Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

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