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La storia di Marco Cavallo
La storia di Marco Cavallo
                                    VITTORIO BASAGLIA - La storia di Marco Cavallo
                                     Ex mulino di Ampiano, Pinzano al Tagliamento
                                                         16 luglio - 15 agosto

Grafiche di Vittorio Basaglia e fotografie di Claudio Erné
“Mamma, mamma, cos’è?”. Il  cavallo turchino scende lungo via Giulia e via Battisti. È il 25 febbraio 1973, una fredda domenica di bora. Il corteo si è mosso da poco da San Giovanni. Stendardi di pezza al vento, fisarmoniche, macchine fotografiche, proteste dai finestrini delle auto, volantini distribuiti ai rari passanti del pomeriggio. “Mamma, mamma, cos’è?” chiede la bambina che da marciapiede guarda stupita il cavallo di cartapesta trascinato tra le automobili. “No so, forsi xe carneval” dice la mamma e tira dritto.
 

 
Non è carnevale. È Marco Cavallo che scende in città nella sua prima uscita pubblica. Marco è cresciuto nel reparto P dell’ospedale psichiatrico di San Giovanni. Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia lo hanno aiutato a stare in piedi da solo. Assi di legno sottili, grandi fogli di carta, colla, vernice, sono diventati zampe, pancia, coda, criniera, testa, zoccoli, corpo. Le mani dei due artisti hanno raccolto le indicazioni di coloro che ogni giorno entrano nel vecchio padiglione del manicomio diventato “laboratorio”. La pancia deve essere grossa per contenere tutti i desideri: gli zoccoli forti per uscire di corsa da quelle mura;  gli occhi posti in alto per vedere lontano e non sbagliare strada; il collo dritto e muscoloso per non doversi piegare mai. Tutto inizia l’11 gennaio. “Venite, il Laboratorio P è aperto dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio. Sono arrivati colori e pennelli. Le cose che vogliamo fare le possono fare tutti. Pupazzi grandi e piccoli animali. È divertimento, darà soddisfazione”.
 
Qualcuno risponde. Altri solo si affacciano alla porta di quello che è stato uno dei peggiori reparti del vecchio ospedale. Il 12 gennaio un foglio ciclostilato dagli artisti racconta il primo approccio, la voglia di partecipare. “Ci siamo trovati e ognuno ha disegnato, dipinto la sua casa ideale. Sono venuti fuori dei disegni bellissimi ed è cominciata la costruzione del cavallo Marco. C’è bisogno di idee e collaborazione. Più siamo, più grande sarà il cavallo”. E Marco è cresciuto tanto che al momento di uscire  all’aperto per mettersi alla testa del corteo, non passa più per la porta. Troppo grande, troppo carico di desideri. Si piega sulle gambe, si mette pancia a terra, abbassa il capo, fino a farlo scomparire. Nulla da fare. Cerca allora di mettersi di traverso, poi prova con un’altra porta. Niente. Qualcuno lo aiuta. Tante mani sollevano prima una scala di pittore, poi una panchina da giardino che diventano arieti. Vetri rotti, legni spezzati. Giù la porta, giù il telaio. Cade il primo muro. Marco esce nel prato tra gli alberi alza la testa, ma è trattenuto, come fosse una grande nave, dalle corde di chi vuole guidarlo.
 

 
La strada che porta al cancello dell’ospedale è in discesa. Potrebbe prendere troppa velocità. Scappare ubriaco di libertà e di desideri. Ma chi tiene le estremità delle cime, di quelle redini, non è d’accordo. Slega il cavallo e Marco è libero, ma non  fugge.  Rimane di buon grado con Giuliano, Vittorio, Boris, Dino, Rossana e tutti gli  altri che ha conosciuto al laboratorio. Lo accarezzano, lui lascia fare fiducioso. Poi si mette alla testa del corteo di 400 persone e scende verso la città. Soffia la bora, fa freddo. Il cielo e il cavallo sono dello stesso colore. Le fotografie di Fedele Toscani, padre di Oliviero, riempiono pochi giorni dopo le pagine patinate del supplemento dell’Espresso. Mostrano che nelle vie di Trieste poca gente fa ala al passaggio di Marco Cavallo, dei musicisti di strada e degli sbandieratori con gli stendardi di pezza. La folla arriva dopo: alla sommità del colle di San Giusto sono in centinaia ad attendere il cavallo turchino con la pancia piena di desideri. E nel ricreatorio della scuola “Edmondo De Amicis” dov’è stata organizzata la festa, il numero cresce ancora. Marco Cavallo rimane nel cortile: la porta della palestra è troppo piccola. Così resta fuori, alza la testa e, come fanno i cavalli, guarda lontano.
 

 
Claudio Ernè

 
 
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La storia di Marco Cavallo
Fulvio Merlak, Colori, 1984

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