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Matiaz Preseren
Matiaz Preseren
Matiaz Preseren
17 settembre – 16 ottobre 2005
Villa Ciani Lestans, Galleria John Phillips e Annamaria Borletti

Matjaž Prešeren è un fotografo sloveno che trova gradevole continuare a scattare, oltre che per lavoro, per diletto, per piacere suo e dei suoi amici. Tanto le sue fotografie industriali risultano assemblate con meticolosità, così queste del fare ricerca sono imprevedibili, disimpegnate, in una parola, assurde nella loro non-intenzionalità.
Nel suo operato ci sono linee semantiche che si intrecciano in spirali morbide ed evanescenti, oniriche e trasognate, viste sempre come attraverso uno specchio. Egli è, potremmo dire, un favolista che sa molto bene descrivere sulla carta sensibile un racconto assemblato con un gioco inesauribile di creatività e invenzione.

Le sue scene sono realizzate con colori sgargianti oppure al contrario in un bianco e nero rigorosissimo con una scelta di una luce tagliente, di sapore nordico. Ci restituiscono immagini caratterizzate da un forte controllo compositivo e formale, attraversate da interessanti suggestioni metafisiche.

Quando è il paesaggio ad essere il soggetto della ripresa, i personaggi che ne fanno parte sono in posizioni ed atteggiamenti colti sul fatto, diventando, a loro insaputa, gli attori di una commedia incompiuta, il cui tema incoerente è il pretesto.

Se poi si aggiunge al disimpegno dello scatto il magistrale ritocco, con il programma applicativo foto-grafico, il risultato che ne deriva è facilmente immaginabile: fotografie scherzose, sorprendenti, accattivanti, dove la banalità del quotidiano viene riscattata da un forte senso di ironia e humor.

Una ragazza che cammina tra le umide calli veneziane; due giovani, riprese di fronte, sotto un porticato che si affaccia nel penetrante mare istriano; un sinuoso corpo visto dì spalle così da scoprire il sedere appoggiato su una umile sedia rinvenuta nelle colline del Goriziano.

Anche i nudi sono storia nella storia: studi attenti sulla forma e sul rapporto fra corpo e ambiente. Figure di donne convenzionalmente belle, dagli sguardi dolci inquietanti o ammiccanti. Sfuggenti e solitari.
Esse erano là? A noi non è dato di sapere ma, a queste condizioni. di certo la fotografia si avvicina parecchio al linguaggio della pittura in quanto non è la trascrizione della realtà ma un mezzo per creare delle immagini un po’ surrealistiche, vagamente stravaganti, in ogni caso dense di una rifinitura poetica.

Qui si lavora con la spiritualità (dell’arte) irrazionale che rende le cose leggere e trasparenti. I luoghi magici dialogano con le emozioni dell’eros; le atmosfere angeliche non entrano in antitesi con alcuni particolari di taglio feticistico; la peculiare natura del territorio non rifiuta a priori alcune alterazioni rese possibili grazie a un sapiente utilizzo del software adeguato. Tutte queste affascinanti sollecitazioni ci inducono al preambolo di qualcosa che si disporrà nella messa in scena in una modalità distesa tra il gioioso, il sorprendente e -perché no- l’eccitante.

Prešeren ci indica un possibile universo da percorrere mentalmente: quello descritto dalla geometria, dalla linearità, dallo stile, dalla purezza del segno, oltre il quale c’è solo confusione.
Tutto è confezionato in una continua invenzione visiva: ogni vista serve da base stilistica per quello che seguirà. L’immagine si fa dialogo. Deve essere tale. Se no è la fine.

Alessio Curto
Matiaz Preseren
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Fulvio Merlak, Colori, 1984

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Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

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