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Mario Giacomelli. I paesaggi
Mario Giacomelli, Paesaggi 1963 - 1970
Mario Giacomelli. I Paesaggi
a cura di Silvia Bianco
9 luglio - 13 settembre
Inaugurazione: 9 luglio ore 18
Galleria Tina Modotti, Udine

Orari d'apertura: venerdì, sabato, domenica 17-20


Mario Giacomelli capovolse completamente il punto di vista del neorealismo introducendo nelle immagini una nuova poesia tonale, anche onirica, e realizzando racconti fotografici, che fecero di lui il più importante fotografo italiano del Novecento autonomo a quel punto rispetto ad ogni scuola.

Mario Giacomelli era il maggiore di tre fratelli, all’età di 9 anni perse il padre. Fu in quel periodo che iniziò a dipingere e a scrivere poesie, a tredici anni iniziò invece a lavorare alla Tipografia Marchigiana, affascinato dalla possibilità di comporre parole e immagini offerte dalla stampa. Per tutta la vita lavorò nella stessa Tipografia Marchigiana divenendone il proprietario e si dedicò alla fotografia soltanto nel tempo libero e tutti i giorni dopo cena, dapprima fotografando i dintorni di Senigallia, quindi stampando provini nei quali individuava il focus interessante che ingrandiva e stampava.
Nel 1955 venne premiato a Castelfranco Veneto e a Spilimbergo,infine dal 1963, quando John Szarkowsky, il curatore del MoMA di New York acquisì la serie Scanno e ne inserì una fotografia nel prestigioso catalogo Looking at Photographs, Giacomelli ebbe enorme fama in Italia e all'estero.

I paesaggi costituiscono la struttura portante della sua visione realizzata dall’inizio e nel corso di tutta la sua vita, in modo particolare tra il 1954 e il 1979, spesso inseriti nei suoi racconti, seguiti dalla serie "Presa di coscienza sulla natura" realizzata tra il 1980 e il 1994 (l’unica identificata da un titolo e nella quale inserì anche immagini realizzate dall’aereo). Diverse fotografie di colline, date le caratteristiche del territorio marchigiano, vennero scattate dall'altura vicina, inoltre Giacomelli già dagli anni ’50 amava “intervenire” indicando agli agricoltori le modalità di aratura. Come lui stesso scrisse: "…Una buona parte di questi paesaggi è stata creata e ho cominciato a fare interventi sul paesaggio fin dal 1955: se trovi davanti ai tuoi occhi un paesaggio che ha solo bisogno di correzione, una aggiunta di segni, di linee, di buchi, che il caso o il contadino non hanno saputo fare, allora intervengo io.. A volte ho addirittura usato un negativo scaduto, uno strumento già morto, proprio per accentuare questa sensazione, ottenendo un effetto di neri che diventano tutt'uno con le zone intorno...”.
Un’altra costante delle sue opere, la scomparsa di cielo e orizzonte daqlla foto. La terra acquista nelle immagini da lui realizzate l’assoluta preponderanza visiva, una terra graffiata nel contrasto esasperato della stampa e nella quale regnava la tristezza. Pure l’incontro con Alberto Burri e la sua arte informale arricchì indubbiamente Giacomelli. Attraverso Burri si accostò inoltre allo spazio della metafisica di Mondrian e delle sue linee, delle zone di colore e delle forme rettangolari che si ritrovano citate nei paesaggi.
Anche Christian Gattinoni ha ricordato come “…Giacomelli, col suo gesto espressionista che accentua i contrasti è poeta e disegnatore insieme. In realtà, la pittura e le incisioni di Alberto Burri lo toccano quanto l’opera di un Barnett Newman, a cui d’altra parte lo avvicina una certa estetica dello sviluppo delle stampe. L’utilizzazione del bianco e nero fa però tendere le sue produzioni verso l’incisione, per l’uso del nero argentato ottenuto dall’opposizione tra le diverse intensità di luce…”.

Mario Giacomelli, Paesaggi 1963 - 1970
Fulvio Merlak, Colori, 1984

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Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

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