archivio mostre
Il viaggio fotografico di Tullio Stravisi
Tullio Stravisi
1 marzo-28 aprile
sede: Magazzino delle idee, Corso cavour Trieste


Conferenza stampa: 26 febbraio ore 11.30

Inaugurazione: 28 febbraio ore 17.30













“Al mare ci si spoglia, ci si toglie le soffocanti difese e ci si apre a ciò che sta davanti. Anche questa è la salvezza del viaggiatore, il quale pure sul lastricato delle città o sulle montagne si sente sulla traballante tolda di una nave sbattuta dai marosi, arca precaria o salvifica” .
Claudio Magris, L’infinito viaggiare


Un itinerario ampio e allargato, permette di esprimere una visione più puntuale ed esaustiva sull’opera e la personalità del fotografo Tullio Stravisi. Possiamo seguirne i passi, sulle orme del suo sguardo restituito in immagini e possiamo osservare persone, luoghi e paesaggi appartenuti al suo personale viaggio, quello iniziato a partire dagli anni ’50 con la macchina fotografica. Il viaggio, considerato spesso metafora della vita, è quanto più, può aiutarci a descrivere il fotografo triestino. Viaggiatore e navigatore, fin dalla giovane età, ha conosciuto il silenzio del mare al largo e il rumore delle onde sulle scogliere, lo sfumare del cielo sulla retta dell’orizzonte e il panorama nitido delle anse portuali, geografie complesse e frastagliate e panorami lineari e nitidi, occhi assenti persi nelle atmosfere disegnate dalla partenza e occhi ridenti con il lampo di un guizzo nuovo balenato all’arrivo. Ha conosciuto le suggestioni e le persuasioni del viaggiatore che non ha interlocutori, che ha imparato a parlare dentro di sé e che, terminata la navigazione, non volendo abbandonare quel linguaggio interiore composto da visioni, fa dell’apparecchio fotografico il suo traduttore simultaneo. Stravisi resta un navigatore anche quando torna definitivamente nella sua Trieste o se ne allontana di poco, lo resta nella sua più profonda essenza e soprattutto (ed è quanto qui ci preme evidenziare) nel modo di guardare: da viaggiatore per mare qual era non si addentrava nell’anima dei soggetti, era avvezzo piuttosto a una particolare distanza, a un distacco proprio di chi è divenuto consapevole del suo ruolo di passaggio tra altri passeggeri. La sua fotografia ha in sé tutto il senso del navigare intorno alle cose: lambire, non avvicinarsi troppo alla costa, riconoscere la luce del faro, cercare il porto, trovare l’approdo; con la consapevolezza di chi sa che a breve muteranno situazioni e colori, che la calma diverrà tempesta, che la quiete si trasformerà in mareggiata. Attratto in larga misura dalla mutevolezza delle cose (proprio perché, attraverso la navigazione, ne ha vissuto in prima persona il significato e lo ha profondamente interiorizzato), fissa il suo sguardo su tutto quanto porta in sé i segnali di una trasformazione: gli alberi col loro cambiamento cromatico nelle diverse stagioni e queste col loro carico di nebbie o di cieli tersi a fare da sfondo; i muri scrostati sui quali le intemperie hanno esercitato la loro scrittura; gli oggetti, quelli di uso comune, rovinati e resi umani dall’uso e in genere, le superfici segnate dal tempo su cui è rimasto vivo il colore della ruggine e sbiadito quello della vernice; le strutture nomadiche ( dalle cabine sulla spiaggia, ai tavoli dei mercati rionali, all’attrezzatura del fotografo ambulante )col loro senso di utilità precaria, di passaggio propriamente anch’esse; gli artisti, che incarnano lo spirito della metamorfosi intesa come atto creativo: quelli che trasformano la pietra o il metallo in scultura, come quelli che trasformano il colore in figura o astrazione e di cui ha seguito il percorso, la ricerca e l’evoluzione artistica; ancora, campi arati in cui il passaggio dell’uomo ha creato nuove geometrie e cave, in cui gli operai trasformano grandi blocchi di pietra in lastre pronte ad emigrare in altre architetture. Poi il navigatore si sposta nel vivo della terra carsica, dove la pietra, provenuta anch’essa dal mare, trasformata dalla corrosione, si è fatta interprete del tempo nella sua duplice valenza cronologica e atmosferica. “Viaggiare”, ci ricorda Claudio Magris ne L’infinito viaggiare “significa fare i conti con la realtà ma anche con le sue alternative, con i suoi vuoti; con la Storia o con un’altra storia o con altre storie da essa impedite e rimosse, ma non del tutto cancellate”. Nelle fotografie di Tullio Stravisi troviamo tutto il senso del viaggiare così definito, un viaggio speciale il suo, durato oltre mezzo secolo, che rimane e continua, grazie alla fotografia, nella Storia indelebile degli artisti come in quelle storie, tante, che hanno lasciato invece solo minime tracce.

Magda Di Siena
Tullio Stravisi
Fulvio Merlak, Colori, 1984

catalogo

biblioteca

Fox Talbot, The Reading Establishment, 1846

catalogo

fototeca