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Robert Capa Fotografo
Robert Capa Fotografo
1987 - Le Mostre:      



ROBERT CAPA FOTOGRAFO
In collaborazione con l'International Center of Photography, New York e il Musée de l'Elisée di Losanna
Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne quando l’aveva trovata. Sapeva, per esempio, che non si può fotografare la guerra, perché è soprattutto un’e,ozione. Ma riuscì a fotografarequest’emozione riprendendola da vicino. Era capace di renderne palese l’orrore di un intero popolo con la faccia di un bambino. La sua macchina fotografica catturava e tratteneva emozioni.
Lo stesso lavoro di Capa è l’immagine di un grande cuore e di una passione travolgente. Nessuno può prendere il suo posto. Nessuno può prendere il posto di un bravo artista, ma siano fortunati ad avere la qualità dell’uomo nelle sue immagini.
Ha lavorato e viaggiato molto con Capa. Può darsi cheavesse amici più intimi ma nessuno gliha voluto più bene. Gli faceva piacere sembrare volutamente trascurato e sbadato nel suo lavoro. Non lo era. Le sue foto non sono casi fortuiti. L’emozione che hanno dentro non è accidentale. Sapeva fotografare il movimento, la contentezza e il crepacuore. Sapeva fotografare la riflessione. Catturava un mondo, ed era il mondo di Capa.
John Steinbeck  
 
L’Italia di Robert Capa
Il primo a scoprire l’altra Italia (quella povera e diseredata, da sempre nascosta dietro le facciate dei monumenti, per altro a loro volta fatiscenti, o situata al di là di romantici pascoli illuminati dalla benedicente luce del tramonto), e a darcene una memorabile testimonianza con la fotografia è stato Robert Capa.
Robert era giunto in Sicilia dalla Tunisia con il solito fervore professionale; un entusiasmo derivatogli da una profonda coscienza umana, piuttosto che dalla retorica dell’eroismo bellico, che lo ha indirizzato nel lavoro durante tutta la vita, consentendogli di applicare il suo talento visivo, e il virtuosismo di fotografo (la capacità di concentrare in uno sguardo fotografico istantaneo, il significato storico di una vicenda, al di là dell’evento cronachistico), nella lettura globale dell’avvenimento, intrecciando in immagine i simboli del guerresco con quelli del civile, sempre presente quindi con il suo occhio di vetri, la dove si incrocia il vento dell’Apocalisse con la tiepida, silenziosa brezza di una pace antica, pastorale.
Una pace che si vorebbe immutabile, come le rughe del paesaggio di roccie e dei volti degli anziani che hanno avuto appena il tempo di sbalordirsi, nella fretta del dramma di una guerra altrimenti sconosciuta nei villaggi e sino all’orizzonte che fa da sfondo alle pietraie del latifondo, se non fosse stato per la cartolina-precetto inviata a tanti ardenti ragazzi in età di leva.
Con la guerra giungono in Sicilia anche i fotografi, e sono quasi divertenti, (i fotografi lo sono quasi sempre, come gli antichi giullari, con la loro magia mai sufficientemente rivelata) con quegli innocui strumenti in mano, con cui ti guardano e sorridono, offrendoti poi della cioccolata o una profumata sigaretta americana…
L’indipendenza di Robert Capa, come fotografo, più che una conquista era stata una determinazione di gioventù, fino dagli anni di Berlino alla “Dephot” e di Parigi a “Vu”; si radicalizzo in Spagna nel 1936, con una fotografia sempre più autorevole, sia nelle scelte tematiche che nello stile. Soggetto delle sue fotografie spagnole, piuttosto che il campo di battaglia sono immagini di città e di campagna percorse dalla disperazione fissata negli occhi della gente comune, mentre fugge, o assiste, o attende.
L’immagine così ingiustamente più famosa di Capa, quella del “miliziano colpito a morte”, fa parte di un’altra logica, cui il fotografo non rinuncia, obbedendo a un riflesso condizionato dalla professione, un impulso insopprimibile, specialmente per un fotografo d’azione come Capa, fedele agli ideali del fotogiornalismo moderno, che egli ha così generosamente contribuito a caratterizzare, lungo tutto l’arco della sua storia.
Anche in Sicilia, dunque, Robert Capa giunge con lo scopo di continuare nel suo lucido proggetto di fotografare il mondo attraversato dalla guerra; il mondo vero, innanzitutto la gente, le cose, il paesaggio, che la fotografia riesce a trasferire lontano e verosimilmente, allora soprattutto sulle pagine di “Life”, iol più grande manifesto stampato dell’ideologia umanitaristica americana, cui generazioni di lettori debbono forse qualche lacrima, spremuta e magari standosene “in pantofole dinnanzi al caminetto”, il amssimo del relax e della protezione casalinga, con il temporale fuori dell’uscio che in effetti non ci riguarda, ma che offre il suo eccitante brivido.
Italo Zannier
(da "Aperto", 1987)
Robert Capa Fotografo
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Fulvio Merlak, Colori, 1984

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